È un fenomeno a cui assistiamo da anni e che non accenna a rallentare. Lo sharenting è la pubblicazione di foto, video e contenuti riguardanti i minori, da parte dei loro genitori, nonni o zii. Purtroppo, questa sovraesposizione mediatica comporta numerosi rischi.
Pubblicare significa “rendere pubblico”: quello che prima era privato, personale, diventa di pubblico dominio. A quanto pare, pur di ottenere qualche like in più siamo disposti a sacrificare la privacy (e a volte la dignità) di chi invece dovremmo proteggere.

Quali sono i rischi dello sharenting
Per elencarli tutti bisognerebbe scriverci un libro. E c’è chi lo ha fatto. Gianluigi Bonanomi è l’autore di “Sharenting” (ed. Mondadori) e del sito www.sharenting.it, che contiene un test di autovalutazione. Gli abbiamo chiesto com’è la situazione in Italia: “Il trend è negativo da qualche anno, soprattutto perché i genitori hanno… più like da inseguire: dopo Facebook, papà e mamme si sono spostati in massa su Instagram, poi TikTok, senza trascurare i sistemi di messaggistica vecchi e nuovi. Trend in forte crescita, dicevo, fino all’esplosione durante il lockdown del 2020: tutti chiusi in casa, senza la possibilità di condividere contenuti su vacanze, gite, cene, concerti, sport e così via, che cos’altro potevano condividere se non la propria vita privata?”
Nulla di buono, dunque, specie con gli esempi negativi di vip e influencer.
Ha fatto parlare il caso della madre di un ragazzo sedicenne, condannata dal Tribunale di Roma a rimuovere le immagini e i contenuti pubblicati sui social, contro il volere del figlio, pena 10.000 euro di sanzione.

La legge parla chiaro: per pubblicare le foto dei figli su internet occorre il consenso di entrambi i genitori. Se anche uno solo dei genitori non è d’accordo, il contenuto non è pubblicabile. Uno studio ha rivelato che prima dei 13 anni i bambini hanno già oltre 13.000 foto e video pubblicati in rete dai loro genitori. (Report sulla qualità dell’infanzia, Regno Unito).
Il bambino, a sua insaputa, detiene già una “identità digitale”, ovvero un ecosistema di contenuti che lo riguardano, presenti in rete. E sappiamo che se finisce in rete, non può più essere cancellato.
Lasciamo ai i nostri figli il diritto di creare da soli la propria identità digitale, una volta che avranno l’età per poterlo fare e la giusta consapevolezza. Ma se non gliela insegniamo noi questa “consapevolezza”, come pensiamo possano acquisirla?
Insegniamo ai più piccoli che esiste una sfera privata e che ogni persona, anche nel mondo digitale, ha la piena padronanza di decidere cosa mostrare e cosa no.

Il cyberbullismo è dietro l’angolo
Seminare foto e video dei momenti più buffi dei nostri bambini, potrebbe esporli al rischio di prese in giro. Ricordiamo che purtroppo, è sempre più precoce l’età in cui i bambini entrano in possesso di un dispositivo digitale, o lo usano in casa. Non è difficile per loro accedere a chat e social, magari proprio attraverso i device dei genitori.
Facciamo attenzione anche a inviare foto in gruppi o chat che crediamo private: non possiamo sapere quale uso verrà fatto del materiale che noi stessi abbiamo fornito.

Pedofilia e adescamento online
Buona parte del materiale recuperato dagli archivi dei pedofili del web, contiene foto di bambini postati sui social dai loro genitori.
Questi data base contengono foto di bambini, anche molto piccoli, in contesti quotidiani. Inoltre, esistono software di nuova generazione che consentono di manipolare foto e video di un corpo, ad esempio, sostituendone il volto. Pubblicare in rete foto e video di bambini, anche se in buona fede, potrebbe alimentare questo circo degli orrori, a discapito dei più indifesi.
Un altro errore che molti commettono è il svelare troppe informazioni sui gusti e le abitudini di bambini o ragazzini, esponendoli al rischio di adescamento. Sapere che a quel bambino piace un determinato sport, film o canzone, può fornire un aggancio all’adescatore per iniziare un dialogo a suo vantaggio. Rivelare indirizzi, orari, spostamenti o altro, può mettere a rischio la sicurezza nostra e di chi amiamo. Ne vale davvero la pena, per un like?

Paloma Donadi
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